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VISITE GUIDATE alla mostra:
“Gentilhomeni, Artieri et merchatanti
.
Cultura materiale e vita quotidiana nel Friuli occidentale al tempo dell’Amalteo (1505-1588)”

       
 

Celebrazioni per il cinquecentenario di Pomponio Amalteo


Pordenone, 17 settembre-27 novembre 2005


 

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Assessorato alla Cultura

 

 

Soprattutto per il Friuli occidentale, il Cinquecento – secolo che Pomponio Amalteo attraversò con la sua lunga vita quasi interamente - fu quanto mai ricco di novità, di rivolgimenti, di «nuove intraprese» e di «eletti ingegni», che segnarono e illustrarono il territorio: alla storia infatti fu consegnato come uno fra i momenti più stimolanti, ricchi e coinvolgenti.

Ed è proprio alla cultura materiale e al vissuto quotidiano al tempo dell’Amalteo che viene dedicata la ricca esposizione curata da Maurizio d’Arcano Grattoni, promossa dalla Provincia di Pordenone-Assessorato alla Cultura con il sostegno della Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia e della Fondazione CRUP - in programma a Pordenone dal 17 settembre al 27 novembre 2005, negli spazi espositivi provinciali.

Una finestra che si apre da lontano, su di un panorama ampio e diversificato, popolato di varia umanità proprio come i quadri dell’Amalteo, che amava inserire le sue ‘istorie’ e i suoi personaggi in contesti tratti dal vivere quotidiano.
Un volo d’uccello sulle trasformazioni paesaggistiche ed urbane, sui mestieri e le arti del tempo, sull’economia, le credenze e i gusti di “gentilhomeni, artieri et merchatanti”, animato da preziosi e importanti oggetti sacri (pissidi, croci astili, ecc.), da mobili, tessuti, cronache d’epoca e statuti, strumenti e testi musicali, ceramiche, manufatti architettonici e sculture, carte geografiche e piante dell’epoca, con molti materiali provenienti da importanti musei e raccolte pubbliche, ma anche con pezzi inediti rintracciati in collezioni private, che rappresenteranno una vera novità per gli studiosi e il vasto pubblico.
E poi, tra i dipinti, alcuni momenti eccezionali, a cominciare dalle tre opere di Tiziano che saranno in mostra: il famoso “Ritratto di Eleonora di Gonzaga della Rovere” della Galleria degli Uffizi di Firenze, il superbo “Ritratto del conte Antonio di Porcia” membro dell’importante casata friulana, prestato dalla Pinacoteca di Brera, e il dipinto, recentemente ritrovato, rientrato in Italia e “restituito” al Maestro, con il “Ritratto di Giovanni Paolo da Ponte”, di collezione privata, che si porta appresso una vicenda di straordinario rilievo sul piano storico-documentario e che, datato 1534, colma una lacuna sull’attività giovanile del grande maestro.
Ancora: opere di Baschenis, di Pietro Politio, Girolamo Campagna ed altri contemporanei e, ovviamente, di Pomponio Amalteo, di cui vengono esposti un olio su tavola raffigurante la “Vergine con il bambino” del Museo Civico di Pordenone e un “Compianto su Cristo morto”, prestato del Museo d’Arte medioevale e moderna di Padova.
Soprattutto, dell’Amalteo torna in Friuli per l’occasione, dopo secoli d’assenza, lo spettacolare “Sansone e Dalila”, facente parte della quadreria di Olomouc in Repubblica Ceca: opera tradizionalmente attribuita al Pordenone e solo recentemente restituita a Pomponio.

La mostra, che complessivamente espone circa 200 opere e che in comitato scientifico affianca a Maurizio d’Arcano Grattoni importanti studiosi del territorio e dell’opera dell’Amalteo – Giuseppe Bergamini, Flavio Dell’Agnese, Caterina Furlan, Gilberto Ganzer e Paolo Goi - è accompagnata da un ricco catalogo edito da SilvanaEditoriale.

***

L’esposizione prende le mosse dal territorio - ampiamente raffigurato dall’Amalteo come sfondo nei suoi dipinti - e dalle trasformazioni registrate proprio in quegli anni.
Tra la seconda metà del Quattrocento e i primi anni del secolo successivo, l’aspetto di borghi, castelli e città si modifica sensibilmente per l’introduzione anche in Friuli di nuovi modelli urbanistici e delle novità architettoniche rinascimentali, in gran parte di derivazione veneziana e lombarda.

Nella sezione “La città e le campagne”, la bella raffigurazione del Pordenonese delineata da Jorg Kölderer, proveniente dalla Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, si pone proprio a chiusura di un'epoca: l'anno prima era cessato il dominio asburgico e in breve la città e il circondario perderanno quel po' di connotazione oltralpina che ancora sopravviveva.

Le tristi vicende accadute fra il primo e il secondo decennio del Cinquecento – dalle distruzioni e scorrerie, provocate dell’offensiva della lega antiveneziana di Cambrai, al disastroso terremoto – porteranno spesso a riedificazioni, rifacimenti o restauri nel nuovo stile, sulla scorta anche dei grandi trattati in materia, che proprio allora cominciavano a circolare impressi a stampa.

Cambia dunque la fisionomia dei castelli, come si può riscontrare nei castelli di Spilimbergo e di Zoppola o in quelli di Valvasone e di Fratta, documentati in mostra da due dipinti dell’epoca; cambia la fisionomia di borghi e città.
Anche la campagna subisce modificazioni e così pure i corsi d'acqua, spesso alterati nei loro tracciati originari sia per ‘carpirne’ la forza motrice, indispensabile a diverse manifatture, sia per migliorarne la navigabilità, trattandosi di importanti vie di comunicazione per il trasporto di uomini, animali e merci.

Ma è “La gente” del tempo la vera protagonista dell’esposizione, quei «gentilhomeni, artieri et merchatanti», che hanno determinato le scelte di gusto, economiche ed imprenditoriali del territorio e dunque quella vita quotidiana che le diverse sezioni dell’esposizione vogliono evocare.
Nobili, popolani, borghesi, imprenditori, commercianti, uomini di governo e condottieri: a volte ‘comparse‘ anonime in questo o quel dipinto, a volte protagonisti di un ritratto o di documenti e cronache del tempo. Significativa, a questo proposito, la cronaca di Roberto di Spilimbergo, ove si parla di potenti – Carlo V, per esempio, in soggiorno a Spilimbergo – e di gente minuta, come i disperati che nella carestia del 1527 cercavano i nidi di sorci per carpirne i pochi grani immagazzinati e per catturarne gli inquilini.

Ma sono i dipinti, soprattutto, a far rivivere i protagonisti del tempo e le loro storie.

“ Il ritratto di Giovanni Paolo da Ponte” di Tiziano, recentemente ritrovato – scrive il curatore della mostra - è quanto mai significativo: sul retro della tela compare la scritta «Spilimbergo» e ci parla dei rapporti fra il raffinato gentilhomo veneziano e l’antica casa feudale: la figlia dell’effigiato, Giulia, fu infatti sposa del coltissimo Adriano di Spilimbergo e il da Ponte soggiornò nel centro friulano”.

Accanto a quello di Da Ponte, il “Ritratto di una contessa di Porcia”, quello del “conte di Valvasone con la madre”, il “Ritratto di Taddea di Maniago Panigai” e quello di un “gentiluomo di casa Montereale Mantica” ridanno vita ad alcuni dei signori degli antichi feudi di ascendenza imperiale o patriarcale, con seggio nel Parlamento della Patria, o alle nuove famiglie che - quasi sempre attraverso la mercatura - assurgevano a posizioni di rilievo per il notevole censo, come i Mantica, i Popaite e tanti altri.

Al “governo” del territorio la mostra dedica una particolare sezione, in cui risaltano alcuni pezzi di particolare pregio, espressione del potere e dei “potenti” del tempo: medaglie, sigilli, stemmi delle casate parlamentari e, tra le varie opere esposte, un bellissimo corno dogale con le insegne dei Barbarigo; mentre nella sezione incentrata sul “lavoro” le nascenti attività artigiane e l’imprenditoria commerciale emergono attraverso alcune suggestive testimonianze – un braciere in rame con coperchio traforato, secchi per acqua, una bigoncia da vino, un asciugatoio a corda per i fogli di carta, una pila idraulica a magli multipli, con vasca originale e ricostruzione dei magli, su disegno medievale.

E’ in quest’epoca, infatti, che vengono sviluppate o nascono alcune importanti attività manifatturiere per lo più legate all’acqua, grande ricchezza del territorio. Il Noncello, il Livenza, il Tagliamento, il Meduna e altri corsi d'acqua videro la fioritura di ‘bocalari’, cartai, battirame, battiferro, ‘pannilana’, segherie, cuoiai, cui si aggiunsero lavoranti della pietra, del legno e altro ancora, alcuni con spiccate caratterizzazioni professionali come i lapicidi di Meduno o i produttori di lame di Maniaco.
Fra le manifatture locali, per la documentazione ancora esistente e in particolare per la ricchezza dei reperti in gran parte restituiti da fortunate indagini archeologiche, si segnala in particolare quella della ceramica, che proprio in quest’epoca riuscì ad esprimersi con caratteristiche peculiari, lasciando una produzione riconoscibile e ‘firmata’, ampiamente presente in mostra.

Altro tema importante, elemento fondante della società del tempo, è la “religiosità”, il sentimento e la pratica religiosa, che si esternava in primis nelle funzioni pubbliche.

Reliquiari, calici, pissidi, paramenti ancora ci richiamano riti oggi molto semplificati o del tutto scomparsi, mentre le preziose croci astili ci rimandano alle processioni, momenti socialmente trasversali così come le ‘paci’, sulle quali si posavano le labbra del nobile come del plebeo, del ricco come del povero.
Un fenomeno poi importante legato allo spirito religioso è rappresentato dalle confraternite, a volte identificate per alcune pratiche penitenziali attuate dai confratelli, come quelle notissime dedicate ai Battuti per l'uso di flagellarsi. Parallelamente vi erano quelle, più rare, ove i confratelli erano accomunati dall'appartenere a particolari àmbiti di mestiere, come, per esempio, le ‘scuole’ pordenonesi di San Biagio per i lavoranti della lana o di Sant’Alò (Eligio) per gli artigiani dei metalli, di cui in mostra vi sono gli Statuti che, almeno dalla metà del XVI secolo, ogni fraglia era obbligata a darsi.

Ma la vita quotidiana trovava la sua vera manifestazione soprattutto entro le mura domestiche, di cui i dipinti dell’epoca – pensiamo alla “Cucina con rami e fantesca” del Baschenis, danno importante testimonianza visiva.
Nella sezione sulla “dimora” alcuni arredi mostrano l’evoluzione del gusto e dello stile in un’epoca di grandi novità: novità che tuttavia in Friuli arrivarono con un certo ritardo e soltanto nel Seicento vennero pienamente assimilate data la forte influenza nordica.
L'intaglio piatto, i fondi punzonati, i fitti disegni a penna – di questo genere, straordinario, per la qualità, il magnifico cassone in collezione privata, proveniente da San Vito al Tagliamento – ancora orneranno per molti decenni gli arredi locali, spesso concepiti con funzione di spalliera, ossia con l'ornato che si distribuisce all'interno del coperchio, secondo un uso decisamente arcaico.
Importanti, soprattutto per la cifra sociale che comportavano anche i complementi d'arredo di cui la mostra dà testimonianza: recipienti normalmente realizzati in rame decorato e a volte dorato, come gl'immancabili versatoi e bacili per le abluzioni cerimoniali prima del desinare o gli altrettanto comuni ‘rinfrescatoi’ per tenere bassa la temperatura delle bevande; bellissimi i tessuti di pregio o in cuoio dorati da distribuire su panche e cassoni, i tessili ‘a capi blavi’, ossia con le caratteristiche estremità figurate in azzurro.

Ma il Friuli d'oltre Tagliamento, del XVI secolo, si distinse anche nel settore della “cultura”, vedendo in alcuni suoi centri fiorire importanti scuole ove insegnavano nomi prestigiosi del mondo letterario ed erudito coevo, ricordati qui attraverso preziosi manoscritti o antichi libri a stampa.

“ Solidi letterati come i fratelli Amalteo e i Rorario, nobili castellani come Jacopo di Porcia e Adriano di Spilimbergo – ricorda d’Arcano Grattoni - versatili artisti ed eruditi come Pietro Capretto, anche musicista, e Giuseppe Rosaccio, anche medico e geografo, personaggi estrosi come Giulio Camillo Delminio e innovativi come Bernardino Parthenio, creatore a Spilimbergo di un'accademia ove era impartito l'insegnamento delle lingue latina, greca ed ebraica” sono soltanto alcuni dei molti nomi che operarono in quel torno di tempo nel territorio, coagulati spesso da stimolanti cenacoli.

Infine a chiudere questa avvincente panoramica, ecco la “musica”, in cui il Friuli occidentale si distinse in modo particolare.
Non è un caso che i due più importanti organi cinquecenteschi della Regione siano entrambi oltre Tagliamento, a Spilimbergo e a Valvasone, grandi strumenti dal punto di vista organologico (il secondo conservato anche con le canne originali) e capolavori d'arte lignaria nelle casse, e pittorica per quanto riguarda le portelle, dipinte rispettivamente dal Pordenone e dall’Amalteo. Ma soprattutto c'è da rilevare la presenza di importanti cappelle musicali con nomi già all'epoca celebri.
La musica permeava dunque intimamente quella società, costituendo elemento distintivo di cultura raffinata e appartenenza sociale. Significativo, a tal proposito, testimoniando di un duplice gusto per l'arte pittorica e musicale unite, il coperchio probabilmente di virginale (ora in collezione privata) che il Pordenone abbellì, dipingendo all’interno la cosiddetta “Famiglia del Satiro”. Singolare, in questo contesto, appare la documentazione riferita ai Porcia. Antonio di Porcia – presente in mostra nel superbo ritratto di Tiziano – aveva acquistato a Venezia, per l’enorme somma di 80 ducati d’oro, un organo domestico «che sonava di molti soni et de diversità» mentre in un inventario della medesima famiglia del 1569 sono elencati un «claucimbano» (clavicembalo), «una cop[p[ia de cornetti disfornita» e «una altra cop[p]ia de cornetti storti», lasciando presagire – stante le difficoltà esecutive insite nel cornetto – la presenza di musici di non poca maestria stipendiati dall'importante casata.

 

Pordenone
Spazi espositivi provinciali,
corso Garibaldi, 8

Orari:
da martedì a domenica 10.00-12.30 / 15.30-18.30
(chiuso il lunedì e martedì 1 Novembre)

Per informazioni:
tel. 0434231418
www.provincia.pordenone.it


 
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